Sul nome di Torquato Tasso in molti si sono già spesi; dunque, parrebbe che a poco serva questo ulteriore articolo su un tema apparentemente già chiusosi all’altezza del primo cultural turn (s’intende quello del trapasso dal neoidealismo crociano al neorealismo desichiano [1]). Ciononostante, alcune nuove scoperte filologiche, documentarie e, addirittura, testamentarie portano in evidenza nuovi fondamentali riscontri sulla questione del nome di Tasso.
È infatti risaputo, e ben acquisito, che il nome di battesimo del figlio di Bernardo Tasso non fu Torquato, bensì Giovan Battista; effettivamente, molta bibliografia è stata prodotta sulla relazione omoerotica che legava il Tasso genitore con il giovane enfant prodige della corte estense, ovvero il Pigna [2]. Un recente saggio analizza perfino alcune iconografie satiresche [3] presenti nell’edizione perduta delle Rime di Bernardo Tasso, le quali sono state evidentemente modellate non soltanto sulla figura del giovane Pigna, bensì anche sul “prodigioso et meraviglioso” [4] membro. È assodato che fin dall’infanzia Giovan Battista Tasso odiasse il nome datogli, dal momento che detestava le eccessive (a suo avviso) attenzioni paterne nei confronti dello storico e poeta ferrarese; sintomo tra l’altro, forse, di una sorta di Edipo [5]. Come non citare, poi, la Lettera CXIII bernardiana [6] in cui il poeta descrive le maldicenze della corte estense sul suo rapporto con il Nicolucci, non casualmente soprannominato Pigna [7]; l’ignominia generalizzata, insomma, era un forte rischio per la famiglia Tasso.
Fu per questo, dunque, che Giovan Battista appena poté cambiò il proprio nome in Torquato, ricercando come lui stesso svela in una postilla sulla lirica enniana [8] l’allitterazione in /t/. Scopo del seguente articolo è dimostrare, invece, un ulteriore sviluppo del nome proprio del poeta della Liberata e della Conquistata. È stato infatti scoperto da poco una carta testamentaria firmata Susanna Tasso [9], seppure con grafia inequivocabilmente appartenente a Torquato Tasso. Nelle seguenti pagine, allora, proveremo a dimostrare in modo chiaro e conciso come la scelta del nome sia dovuta a una pratica orgiastica che il Tasso praticava con Pietro e Cinzio Aldobrandini, i quali, a quanto emerge dalle lettere di tutti e tre i protagonisti, tendevano a travestirsi da anziani mentre il poeta preferiva assumere capigliatura e vesti femminili, cosicché il trio poteva mettere in scena durante i loro atti sessuali la rievocazione dell’episodio biblico di Susanna e i vecchioni.
[1] A riguardo impossibile non citare il fondamentale Da Croce a De Sica: il trapasso della monarchia e l’inizio dell’era repubblicana nell’estetica italiana, Alfonso Cattus-Gattis, Inaudo, Sesto torinese, 1961. In particolare, il capitolo La querelle tassiana sul nome proprio. Torquato vs Giovan Battista, pp.1144-1395.
[2] La più nota è L’amore infinito tra Bernardo Tasso e Pigna, Susy Tamerina, Zero Fratto Zero, Acireale, 1943.
[3] I satiri delle Rime di Bernardo Tasso: iconografie di un Pigna nascosto. Storia di alcuni disegni voluti e desiderati dall’autore, Giuda Alda Sarro, Ataturk Edition, Istanbul, 1998.
[4] Vedesi la celeberrima ricostruzione della rima perduta bernardiana (numerata 100 nelle Rime, non casualmente data la forte intertestualità dantesca) da parte del Leopardi; assodatissimo è ormai il fatto che descrivesse il membro del Pigna, secondo qualità neoplatoniche. Oggi ancora, purtroppo, poco attenzionata da parte della critica.
[5] Tasso castrato? Il complesso edipico-paterno a partire dal nome Giovan Battista, Sergio Freddo, Acanto Edizioni, Treviso, 1985.
[6] Famoso, e pure di estremo buon gusto letterario, il suo inizio con “Sempre caro mi fu quest’ermo collo”, poi evidentemente ripreso dal Leopardi maggiore. Lettera che, comunque, non prosegue la dichiarazione d’amore delle prime pagine, visto che si conclude con una indignata requisitoria nei confronti della mala vox cortigiana riguardo il suo amore per Nicolucci.
[7] Pigna è infatti il soprannome, conferito in senso ironico-offensivo, dal giovane Alfonso II d’Este (poi forse amante, ancora in discussione presso la critica come tema), dato che secondo il primogenito di Ercole II, di cui Pigna fu precettore, l’umanista tendeva ad occludere con il proprio membro di grandi proporzioni l’orifizio di Bernardo Tasso.
[8] “T sonus perfectus et deorum est. Hic meum praenomen nascetur” scrive in età giovanile mentre commenta il famoso verso “At tuba terribili sonitu taratantara dixit”; Catalogo ragionato delle allitterazioni tassiane, Ernesto Cimabuio, Esse Edizioni, Racalmuto, 2013.
[9] Nel testamento riscoperto assai recentemente, il Tasso dichiara che tutti i suoi averi andranno a Pietro e Cinzio Aldobrandini, gli ultimi suoi mecenati. Il testamento del Tasso morente. Gli averi agli Aldobrandini, la gloria al Tasso, l’amore a tutti, Cinzio Pinnacolo, UTOR, S-Lunga, Aragona, 2023.